IL TRIBUNALE
   Nella causa civile iscritta al n.  739,  r.g.  1985,  vertente  tra
 Nigro  Francesco  Paolo,  rappresentato  e  difeso  dall'avv. Antonio
 Autilio e Cicala Giuseppe e Petrocelli  Antonietta,  rappresentati  e
 difesi   dall'avv.  Raffaele  Sassano,  ha  pronunziato  la  seguente
 Ordinanza;
   Esaminati gli atti;
                             O s s e r v a
   Con atto di citazione notificato il 1 giugno 1985, l'ing. Francesco
 Paolo Nigro conveniva  in  giudizio  dinanzi  a  questo  tribunale  i
 coniugi  Cicala  Giuseppe e Petrocelli' Antonietta. Deduceva in detto
 atto l'attore che, con atto pubblico per notar De BeIIis in  data  21
 ottobre  1982  (preceduto  da compromesso del 6 novembre 1980), aveva
 venduto ai coniugi convenuti, in comunione  tra  loro,  un  lotto  di
 suolo   edificatorio   sito   in  Viggiano  alla  contrada  Sterpalda
 dell'estensione di mq. 1.191 in catasto al fol. 36, part. 325/B  (ora
 392);
     che  con  gli  stessi  atti  gli acquirenti gli avevano conferito
 l'incarico di redigere il progetto del fabbricato che essi  avrebbero
 realizzato  sul  lotto compravenduto, nonche' di seguirne la relativa
 direzione dei lavori;
     che  la  vendita  del terreno era stata condizionata ed agevolata
 proprio dall'obbligo-opzione che i conuigi Cicala  avrebbero  assunto
 nei suoi confronti;
     che  inopinatamente, con comunicazione in data 24 aprile 1985, il
 Cicala Giuseppe, anche per conto della moglie, gli  aveva  comunicato
 che  intendeva  liberarsi dell'impegno assunto, avendo gia' conferito
 ad  altro  professionista  l'incarico  per  la  progettazione  e   la
 direzione dei lavori del costruendo fabbricato;
     che  a  nulla  erano  valsi  i  ripetuti inviti rivolti intesi ad
 ottenere il rispetto delle pattuizioni;
     che perdurando  l'atteggiamento  dei  convenuti,  egli  veniva  a
 subire  un  notevole  danno  patrimoniale  (consistente  nel  mancato
 guadagno che gli sarebbe derivato dalla prestazione della  sua  opera
 professionale), oltre al danno morale. Alla stregua di tali premesse,
 il  Nigro chiedeva che, datosi atto dell'inadempimento dei convenuti,
 questi venissero condannati, in via solidale, al pagamento dei  danni
 suddetti oltre interessi e rivalutazione.
   Costituitisi  in  giudizio,  i coniugi Cicala Giuseppe e Petrocelli
 Antonietta chiedevano il rigetto della domanda proposta  dall'attore,
 contestando  -  tra  l'altro - che la compravendita del terreno fosse
 stata condizionata all'impegno di conferire al  venditore  l'incarico
 di   redigere   il   progetto   e  curare  la  direzione  dei  lavori
 dell'erigendo fabbricato.
   All'esito  dell'espletata  istruttoria  le  parti  precisavano   le
 rispettive  conclusioni  e  la  causa  veniva rimessa al collegio, il
 quale - all'udienza del  30  aprile  1998  -  la  introitava  per  la
 decisione.
   Cio'  posto,  si  osserva che la domanda proposta dall'attore ha ad
 oggetto,  tra  l'altro  il  risarcimento  del   danno   patrimoniale,
 consistente  nel  mancato  guadagno  che  gli  sarebbe derivato dalla
 esecuzione della progettazione  e  della  direzione  dei  lavori  del
 costruendo fabbbricato; danno derivante dall'inadempimento - da parte
 dei  convenuti  -  della obbligazione dagli stessi assunta sia con il
 compromesso del 6 novembre 1980,  sia  con  l'atto  pubblico  del  21
 ottobre 1982.
   Rileva  il  collegio che la normativa di riferimento e' rinvenibile
 nella legge  2  marzo  1949,  n.  143  (tariffa  professionale  degli
 ingegneri  e  degli architetti), il cui art. 10, com'e' noto, prevede
 che  la  sospensione  per  qualsiasi  motivo  dell'incarico  dato  al
 professionista non esime il committente dall'obbligo di corrispondere
 l'onorario  relativo al lavoro fatto e predisposto, come precisato al
 seguente art. 18; rimane  salvo  il  diritto  del  professionista  al
 risarcimento  degli  eventuali  maggiori danni, quando la sospensione
 non sia dovuta a cause dipendenti dal professionista stesso.
   Tale disciplina si pone come disciplina speciale rispetto al regime
 del recesso dal  rapporto  d'opera  professionale  dettato  dall'art.
 2237 del codice civile, in quanto, pur non limitando l'incondizionato
 diritto  di  recesso  da  tale  norma concesso al cliente, pone a suo
 carico un obbligazione indennitaria ex lege,  statuendo  l'automatico
 aumento  del  compenso dovuto al professionista, nella misura del 25%
 (in virtu' del richiamo al successivo art. 18) e prevedendo, inoltre,
 una  vera  e  propria  obbligazione  risarcitoria,   consentendo   al
 professionista  di  provare  la  colpevole  condotta del cliente e di
 richiedere l'integrale ristoro del danno, con la conseguenza che,  in
 tale  ipotesi,  il  giudice e' tenuto a valutare e liquidare il danno
 nella  sua  interezza  (Cass.,  26  gennaio  1985, n. 401, richiamata
 dall'attore).
   Orbene, questo tribunale non ignora che la Corte costituzionale  ha
 ritenuto  che  la  prima  di  tali  previsioni,  oltre a non porsi in
 contrasto con i principi posti dall'art. 2237 cod. civ. (che, in caso
 di recesso ante tempus o di limitazione sopravvenuta dell'incarico da
 parte del cliente, prevede che il compenso  per  l'opera  svolta  sia
 determinato  -  in  difetto  di pattuizione tra le parti - secondo la
 tariffa professionale, che  viene  pertanto  richiamata  dalla  norma
 codificata,  cosi'  da  integrarne il disposto), non viola neppure il
 principio di uguaglianza costituzionalmente garantito (art. 3 Cost.),
 in quanto risponde a criteri razionali correlandosi la  maggiorazione
 del  compenso alla mancata soddisfazione dell'interesse professionale
 a curare l'intera esecuzione del  progetto:  situazione  che  non  e'
 suscettibile  di  utile  raffronto  con  diverse previsioni normative
 concernenti altri professionisti (ivi compreso il  caso  piu'  affine
 dei  geometri),  poiche' le prestazioni di questi ultimi non giungono
 mai a rivestire le  peculiari  caratteristiche  dell'attivita'  degli
 ingegneri e degli architetti (cfr. Corte cost. n. 192 del 1984).
   Non   sembra,  peraltro,  che  un  discorso  analogo  possa  essere
 effettuato  in  relazione  alla  seconda  delle  suddette  previsioni
 normative, relativa al diritto del professionista al risarcimento dei
 maggiori  danni  nell'ipotesi in cui la sospensione dell'incarico non
 sia dovuta a cause dipendenti dal professionista medesimo  (art.  10,
 secondo comma, legge 2 marzo 1949, n. 143).
   Com'e'   noto  infatti  a  norma  dell'art.  2237  cod.  civ.,  che
 specificamente  si  riferisce  alle  prestazioni  intellettuali,   il
 cliente   puo'   (sempre)  recedere  dal  contratto,  rimborsando  al
 prestatore d'opera le spese  sostenute  e  pagando  il  compenso  per
 l'opera  svolta.  Tale  specifica  ed espressa previsione esclude dal
 novero delle norme compatibili con il contratto d'opera professionale
 l'art. 2227. Prevedendo, infatti, la norma che a carico  del  cliente
 recedente possono essere posti solo le spese fatte dal professionista
 ed il compenso gia' maturato per l'opera svolta (cessando ex nunc gli
 effetti del contratto), cio' esclude ogni diritto al risarcimento del
 danno.
   D'altronde,  un  tale  diritto  necessariamente  presuppone un atto
 illecito laddove il  recesso  del  cliente  lungi  dal  poter  essere
 considerato illegittimo, costituisce semplicemente la conseguenza del
 venir   meno   della   fiducia   (intuitus   personae)   riposta  nel
 professionista.  E,  in  tale  ottica,  la  corretta  interpretazione
 dell'art.  2237  cod.  civ.    induce  ad  escludere in radice che il
 recesso unilaterale del cliente possa di per se' solo giustificare la
 pretesa risarcitoria del professionista (Cassazione, 12 agosto  1989,
 n. 3707, in motivazione).
   La   generale  disciplina  del  rapporto  di  lavoro  professionale
 ubbidisce, quindi sotto il profilo qui considerato al criterio di non
 limitare  la  liberta'  di  azione  (ivi  compreso  il  recesso)  del
 committente:    gli oneri scaturenti dal recesso di quest'ultimo sono
 pertanto precisati rigorosamente, in modo da  comprendere  tutti  gli
 aspetti   negativi  per  il  professionista,  siano  essi  di  ordine
 economico o morale.
   La   tariffa   degli  ingegneri  e  degli  architetti,  invece,  in
 difformita' dal regime codicistico, prevede - come si e' visto  -  il
 diritto  del  professionista  al  risarcimento  dei  danni da un lato
 chiamando cosi' il cliente a risarcire danni che paiono non  derivare
 dall'illiceita'   del  suo  comportamento  (stante  la  liceita'  del
 recesso), dall'altro, determinando una  ingiustificata  posizione  di
 privilegio  degli  ingegneri  e  degli architetti rispetto alle altre
 categorie professionali, che non trova, ad avviso di questo collegio,
 nessun  titolo  giustificativo   nella   natura   della   prestazione
 professionale.
   Cosi' facendo - privilegiando, cioe', una categoria professionale a
 danno  delle  altre  -  il  legislatore  sembra  aver travalicato dal
 legittimo  esercizio  della   sua   discrezionalita',   discriminando
 ingiustificatamente  due  fattispecie  analoghe,  in contrasto con il
 principio di eguaglianza di cui all'art. 3 della Costituzione.
   Ne'  questa  volta  puo'  parlarsi  di  integrazione  del  disposto
 dell'art.  2237 cod. civ.
   Poiche',  quindi  la  controversia all'esame di questo collegio non
 puo'  essere  decisa  indipendentemente  dalla  risoluzione  di  tale
 questione di legittimita' costituzionale.